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Era per noi inutile attendere  con impazienza il finale di un  copione di cui tutto si sapeva fin dal  principio,  ogni cosa già  decisa nei passaggi simbolici e che presto  verrà posto in operatività. 
Con  l’avallo estorto a qualche  migliaio di operai dello stabilimento Fiat  di Mirafiori (Torino), lo  squilibrio nei rapporti di lavoro, a tutto  vantaggio del padronato  neo-liberista, non avrà così più bisogno di  essere nascosto dietro a  cortine fumogene; il potere capitalistico del  XXI secolo, ormai apolide,  non sarà più costretto a mediare sui termini dei contratti nell’italico stivalone, in quanto ormai il precedente è divenuto legge de facto, e la legge diverrà prassi. 
La  vertenza tra la dirigenza  Fiat, guidata dall’eroe del managerismo  rampante, Sergio Marchionne, e  quel che restava del sindacalismo di  lotta, ormai ridotto ad una riserva  indiana, ha visto in questi mesi la  vittoria colpo su colpo del  capitale sul lavoro, della globalizzazione  mercantile sulla comunità nazionale.
La corsa allo smantellamento della struttura che reggeva i rapporti tra le parti sociali ha avuto una decisa accelerata: da Pomigliano d’Arco a Termini Imerese, da Mirafiori ai primi epigoni del   cinghiale in maglione nero, che si son palesati in sordina in casi   ancora isolati nella seconda metà del 2010.
Già  con la “riforma”  Biagi/D’Antona s’era dato il via al precariato  legalizzato, ponendo  tutte le premesse per quel che oggi capita sotto  gli occhi di un popolo,  quello italiano, forse incapace di dare una  risposta unitaria,  compatta, realmente  incisiva al chiaro sopruso che  in queste ore avrà  come capri espiatori gli operai Fiat. Costretti,  loro malgrado e forse  inconsapevolmente, a decidere per TUTTI i  lavoratori d’Italia se  contrastare l’ingordigia del padronato, che si  maschera con gli  aggettivi: produttività, modernità, flessibilità ecc., oppure   dare un primo segnale di rinnovata consapevolezza nel non voler essere   ritenuti solamente pedine sacrificabili, sensibili ai ricatti  economici,  destinate quasi sicuramente a non avere nessun futuro di  prosperità né  per sé, né per la propria discendenza.
Quel che prospettiamo infatti noi di Thule è che, dopo una momentanea “tregua”, dove il nuovo corso potrà   imporsi, consolidarsi e mutare definitivamente il volto   dell’occupazione in Italia, i manager detentori dei centri di comando   delle grandi aziende daranno il colpo finale, decidendo di trasferire   definitivamente le strutture produttive verso lande ove il lavoratore   sarà SEMPRE  più competitivo rispetto a quello italiano.
Per  questo non abbiamo atteso  l’arrivo di un risultato scontato. Troppa la  disparità di forze  contrapposte, troppi erano e sono gl’interessi in  gioco per poter  pensare ad un esito diverso. Molte saranno le ricadute,  quasi tutte  negative, sul livello di vita dei lavoratori italiani, su  noi tutti  quindi. Costretti a cedere porzioni sempre più ampie di  diritti, in  cambio di quella remunerazione mensile che possa  fittiziamente garantire  una capacità di spesa , in linea con gli standard imperanti.
E’ tempo di reagire!
Gabriele Gruppo
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