martedì 18 gennaio 2011

Riguardo Mirafiori

fonte: http://www.facebook.com/note.php?note_id=180985985266842&id=100001694883060 

Era per noi inutile attendere con impazienza il finale di un copione di cui tutto si sapeva fin dal principio,  ogni cosa già decisa nei passaggi simbolici e che presto verrà posto in operatività.
Con l’avallo estorto a qualche migliaio di operai dello stabilimento Fiat di Mirafiori (Torino), lo squilibrio nei rapporti di lavoro, a tutto vantaggio del padronato neo-liberista, non avrà così più bisogno di essere nascosto dietro a cortine fumogene; il potere capitalistico del XXI secolo, ormai apolide, non sarà più costretto a mediare sui termini dei contratti nell’italico stivalone, in quanto ormai il precedente è divenuto legge de facto, e la legge diverrà prassi.
La vertenza tra la dirigenza Fiat, guidata dall’eroe del managerismo rampante, Sergio Marchionne, e quel che restava del sindacalismo di lotta, ormai ridotto ad una riserva indiana, ha visto in questi mesi la vittoria colpo su colpo del capitale sul lavoro, della globalizzazione mercantile sulla comunità nazionale.
La corsa allo smantellamento della struttura che reggeva i rapporti tra le parti sociali ha avuto una decisa accelerata: da Pomigliano d’Arco a Termini Imerese, da Mirafiori ai primi epigoni del cinghiale in maglione nero, che si son palesati in sordina in casi ancora isolati nella seconda metà del 2010.
Già con la “riforma” Biagi/D’Antona s’era dato il via al precariato legalizzato, ponendo tutte le premesse per quel che oggi capita sotto gli occhi di un popolo, quello italiano, forse incapace di dare una risposta unitaria, compatta, realmente  incisiva al chiaro sopruso che in queste ore avrà come capri espiatori gli operai Fiat. Costretti, loro malgrado e forse inconsapevolmente, a decidere per TUTTI i lavoratori d’Italia se contrastare l’ingordigia del padronato, che si maschera con gli aggettivi: produttività, modernità, flessibilità ecc., oppure dare un primo segnale di rinnovata consapevolezza nel non voler essere ritenuti solamente pedine sacrificabili, sensibili ai ricatti economici, destinate quasi sicuramente a non avere nessun futuro di prosperità né per sé, né per la propria discendenza.
Quel che prospettiamo infatti noi di Thule è che, dopo una momentanea “tregua”, dove il nuovo corso potrà imporsi, consolidarsi e mutare definitivamente il volto dell’occupazione in Italia, i manager detentori dei centri di comando delle grandi aziende daranno il colpo finale, decidendo di trasferire definitivamente le strutture produttive verso lande ove il lavoratore sarà SEMPRE  più competitivo rispetto a quello italiano.
Per questo non abbiamo atteso l’arrivo di un risultato scontato. Troppa la disparità di forze contrapposte, troppi erano e sono gl’interessi in gioco per poter pensare ad un esito diverso. Molte saranno le ricadute, quasi tutte negative, sul livello di vita dei lavoratori italiani, su noi tutti quindi. Costretti a cedere porzioni sempre più ampie di diritti, in cambio di quella remunerazione mensile che possa fittiziamente garantire una capacità di spesa , in linea con gli standard imperanti.



E’ tempo di reagire!


Gabriele Gruppo
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