venerdì 10 dicembre 2010

Parlando di "politicamente corretto" (Volkstaat.it)

 Tratto da: http://www.volkstaat.it/
http://www.volkstaat.it/index.php?option=com_content&view=article&id=696%3Ala-dottrina-del-politicamente-corretto&catid=48%3Acapitalismo-comunismo&Itemid=66


Parlando di nazione Boera, così come di patriottismo e libertà, su questo sito si affrontano tutti gli argomenti con uno spirito che contrasta con l’ideologia capitalista-comunista imperante del “politicamente corretto”.
Il testo che segue – tradotto da Gian Franco Spotti - propone pezzi di un articolo di William S. Lind, della Free Congress Foundation, “Svelate le radici marxiste del politicamente corretto”, che analizza tale dottrina-strumento.

Il politicamente corretto non è altro che AIDS intellettuale. Ogni cosa che tocca, la contagia e poi la uccide. Nei campus dei college […] esso ha ridotto la libertà di espressione, alterato le valutazioni referenziarie, politicizzato le selezioni e sostituito l’integrità intellettuale con slogan insulsi.
A scuola, classe dopo classe, i docenti trasmettono discorsi ideologicamente vuoti e ampollosi che gli studenti sono costretti a rigurgitare per avere un voto. Questi luoghi, e sono tanti, non sono più università ma tante piccole Coree del Nord coperte da un velo di snob.
Che cos’è allora il Politicamente Corretto?
Le persone “politicamente corrette” nei campus universitari, a dire il vero, non vogliono che voi conosciate la risposta a questa domanda.
Perché? Perché il politicamente corretto non è altro che marxismo tradotto da termini economici in termini culturali.
Le analogie sono ovvie. Per prima cosa sia il marxismo economico classico che il marxismo culturale, cioè il politicamente corretto, sono ideologie totalitarie. Entrambi insistono su “verità” che sono contrarie alla natura e all’esperienza umana.
Contrariamente al marxismo economico, non ci sono cose come “società senza classi” […]. Contrariamente al politicamente corretto, uomini e donne sono diversi, come lo sono i loro ruoli nella società; le razze e i gruppi etnici hanno specifiche caratteristiche e l’omosessualità è anormale. Siccome il solo modo nel quale la gente accetterà le “verità” degli ideologi è se vi saranno costretti, essi vi saranno obbligati dalla piena azione di potere dello stato se i marxisti dei due schieramenti lo controlleranno.
La seconda analogia è che sia il marxismo classico che il marxismo culturale hanno spiegazioni da singolo fattore nella storia. Il marxismo classico sostiene che tutta la storia è stata determinata dalla proprietà dei mezzi di produzione. I marxisti culturali del politicamente corretto dicono che la storia è definita da quei gruppi, identificati per sesso, razza e normalità o anormalità sessuale, che hanno il potere sugli altri gruppi.
La terza analogia è che entrambi i tipi di marxismo definiscono alcuni gruppi come buoni e altri come cattivi a priori, senza considerazione per l’effettivo comportamento degli individui.
Così il marxismo economico definì operai e contadini come buoni e quelli appartenenti alla classe media come cattivi.
Il marxismo culturale definisce i neri, gli ispanici, le femministe, gli omosessuali e alcune altre minoranze come buoni mentre i bianchi sono i cattivi.
Il politicamente corretto non riconosce l’esistenza di donne non femministe e considera i neri che rifiutano questa ideologia come bianchi.
La quarta analogia sta nei mezzi: esproprio. […] I marxisti culturali, nei campus universitari e nei governi, impongono penali sull’uomo bianco e danno privilegi ai gruppi di loro favore. L’Azione Affermativa [insieme di leggi che favoriscono i non-bianchi, ndr] è un esempio di questo tipo di esproprio.
Alla fine entrambi i tipi di marxismo impiegano un metodo garantito di analisi per mostrare la correttezza della loro ideologia in ogni situazione. Per i marxisti classici il metodo e l’economia marxista. Per i marxisti culturali il metodo è linguistico: decostruzione.
La decostruzione per prima cosa rimuove ogni significato dai “testi” per poi inserire un nuovo significato: in un modo o nell’altro il testo illustra l’oppressione di donne, neri, omosessuali ecc. da parte degli uomini bianchi e della cultura occidentale.  Il significato dato dall’autore è irrilevante.
Queste analogie non sono casuali. Esse esistono perché il marxismo culturale del politicamente corretto deriva in effetti dal marxismo classico, economico, particolarmente grazie al lavoro della Scuola di Francoforte. In seguito alla Prima Guerra Mondiale i marxisti affrontarono un difficile quesito: perché il proletariato in tutta Europa non si è sollevato e instaurato un nuovo ordine marxista, come invece avrebbe voluto la loro ideologia?
Due pensatori marxisti di primo piano, Antonio Gramsci in Italia e Georg Lukacs in Ungheria, arrivarono con la risposta: la cultura occidentale.
La cultura occidentale ha accecato i lavoratori per i suoi veri interessi di “classe” a tal punto da non metterli in condizione di reagire. Quindi prima che il socialismo potesse arrivare al potere, la cultura occidentale doveva essere distrutta.
Nel 1919 Lukacs pose la domanda: “chi ci salverà dalla civilizzazione occidentale?”
In qualità di Commissario Delegato alla Cultura durante lo stesso anno, nel governo bolscevico ungherese di Bela Kun, la prima cosa che fece fu quella di introdurre l’educazione sessuale nelle scuole ungheresi.
Nel 1923, Lukacs ed un gruppo di intellettuali marxisti tedeschi, fondò un “think-thank” (gruppo di studio e ricerca) con l’obiettivo di tradurre il marxismo da termini economici in termini culturali, l’Istituto per la Ricerca Sociale all’Università di Francoforte. Nel 1933, quando i nazionalsocialisti arrivarono al potere in Germania, la Scuola di Francoforte traslocò a New York.
Laggiù, le sue figure chiave come Theodor Adano, Erich Fromm e Wilhelm Reich svilupparono una teoria critica: “un incrocio tra Marx [Karl Marx, cognome originario della sua famiglia: Mordechai. Ndr] e Freud che definisse i componenti chiave del pregiudizio della cultura occidentale”, cioè una malattia psicologica.
Il nesso fra la Scuola di Francoforte e la rivolta studentesca degli anni 60 fu fatto principalmente da un membro chiave della Scuola di Francoforte, Herbert Marcuse, colui che negli anni 60 coniò la frase “fate l’amore, non la guerra”.
I libri di Marcuse “Eros” e “Civilization” sostenevano che gli strumenti coi quali distruggere la cultura occidentale erano, in effetti, sesso, droga e rock-and-roll.
Egli rese popolari le idee della Scuola di Francoforte in modo tale che gli studenti radicali degli anni 60 poterono capire e assimilare.

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