Goethe, parlando di Paganini, ci fornisce la definizione del duende: «Potere misterioso che tutti sentono e che nessun filosofo spiega».
Così, dunque, il duende è un potere e non un agire, è un lottare e non un pensare.
Non è questione di facoltà, bensì di autentico stile vivo; ovvero di sangue; cioè, di antichissima cultura, di creazione in atto. E’, insomma, lo spirito della terra.
Ogni scala che sale nella torre della propria perfezione è il prezzo della lotta che sostiene con un duende, non con un angelo o una musa.
L’ angelo abbaglia, ma vola oltre la testa dell’ uomo, è al di sopra, dirama la sua grazia e l’ uomo, senza sforzo alcuno, realizza la propria opera, la propria simpatia o la propria danza.
La musa detta e, in talune occasioni, soffia.
Angelo e musa vengono da fuori; Di contro, il duende bisogna svegliarlo nelle più recondite stanze del sangue.
Per svegliare il duende bisogna privarsi di facoltà e di sicurezze; ossia, allontanare la propria musa e rimanere indifesi, affinché il proprio duende venga e si degni di lottare a viva forza.
Il sopraggiungere del duende presuppone sempre un cambiamento radicale di ogni forma rispetto a vecchi piani, dà sensazioni di freschezza del tutto inedite, con una qualità di rosa appena creata, di miracolo, che produce un entusiasmo quasi religioso.
(Tratto da "Il duende - teoria e giuoco "(1933) di Federico Garcia Lorca)
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