venerdì 23 ottobre 2009

Estratti

Noi nel flamenco, quando stiamo bene, quando ci stiamo divertendo, immediatamente ridiamo di noi stessi, delle nostre stesse virtù e dei nostri stessi difetti: mettiamo il mondo alla rovescia, e diventiamo i pagliacci di noi stessi. Se poi vogliono riderne anche gli altri, bene, sono liberi di farlo.

Con il flamenco mi sento totalmente compenetrato: non solo è lo stile con cui mi esprimo, ma mi ci identifico. Forma parte dell' allegria e della tristezza...forma parte di me spontaneamente. E' un' estetica che va con me.

Quando gli esseri umani si comportano bene e c'è un' organizzazione ferrea ma autogestita, certa gente si sente male.

Antonio Gades (estratti di testimonianza raccolta da Carmen Covito)

- la fine -

Quando si scrive la parola "fine"?

Quando decidiamo di arrenderci, di smettere di lottare e di avanzare?

Quando la luce della speranza si è affievolita a tal punto da non riuscire più nemmeno a scorgerla?
...e si ha male agli occhi a forza di stringerli per riuscire a trovarla...

Quando qualcun altro lo decide per noi?

O quando dentro di noi sentiamo il silenzio e la stasi della morte?

...quando?

martedì 6 ottobre 2009

- IL DUENDE -


Goethe, parlando di Paganini, ci fornisce la definizione del duende: «Potere misterioso che tutti sentono e che nessun filosofo spiega».

Così, dunque, il duende è un potere e non un agire, è un lottare e non un pensare.
Non è questione di facoltà, bensì di autentico stile vivo; ovvero di sangue; cioè, di antichissima cultura, di creazione in atto. E’, insomma, lo spirito della terra.

Ogni scala che sale nella torre della propria perfezione è il prezzo della lotta che sostiene con un duende, non con un angelo o una musa.

L’ angelo abbaglia, ma vola oltre la testa dell’ uomo, è al di sopra, dirama la sua grazia e l’ uomo, senza sforzo alcuno, realizza la propria opera, la propria simpatia o la propria danza.
La musa detta e, in talune occasioni, soffia.
Angelo e musa vengono da fuori; Di contro, il duende bisogna svegliarlo nelle più recondite stanze del sangue.

Per svegliare il duende bisogna privarsi di facoltà e di sicurezze; ossia, allontanare la propria musa e rimanere indifesi, affinché il proprio duende venga e si degni di lottare a viva forza.

Il sopraggiungere del duende presuppone sempre un cambiamento radicale di ogni forma rispetto a vecchi piani, dà sensazioni di freschezza del tutto inedite, con una qualità di rosa appena creata, di miracolo, che produce un entusiasmo quasi religioso.

(Tratto da "Il duende - teoria e giuoco "(1933) di Federico Garcia Lorca)